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Luigi Lineri

Intervista

Le fa piacere l’idea di vedere la sua opera raccontata su una rivista che si occupa di arte marginale?

Ma è chiaro! Non solo per il fatto di uscire da Verona. Penso che sia simbolico per uno come me. E’ dall’inizio dell’anno che cerco di far capire la cosa in profondità a Verona, che cerco degli agganci di qualche persona che può darmi una mano per fare le cornici. Le mie pietre così come sono, tutte accatastate, con i pannelli uno sopra l’altro non dicono nulla a nessuno. Ecco perché parlo di cornici. Sei pietrine con accanto una spiegazione possono anche non servire a nulla. Le cornici sono per dare importanza…

Da un punto di vista artistico io sono appagato, più di così non potevo fare. So che la mia ricerca ha un grande valore artistico e come documento storico. Poi, quando le cose saranno sistemate per bene le vedrà anche un bambino. Il mio sforzo attuale è nel portarne a casa il più possibile per fare questi pannellini di spiegazione. Salvarne il più possibile perché tra pochi anni non sarò più capace di andare in Adige.

Quindi sta continuando a trasportare pietre.

Sì, tutti i giorni ci vado. Cerco le forme mobili, che possono essere spostate e messe in mostra perché il pannellino sia il più chiaro possibile. Siccome le forme si ripetono, accostare quelle più belle e dello stesso tipo è molto esplicativo. Poi faccio lo schizzo, magari sotto ci metto “testa di cane”. Chiuso. Oppure “testa di maiale” o “simbolo maschile”. Alla fine, quando hai fatto le pietre chiave, le altre vengono da sole…mi sono interessato a vedere se è possibile, attraverso la Regione, recuperare la struttura in metallo e cemento per l’escavazione della ghiaia e metterci la mia collezione di pietre.

Sarebbe bellissimo! Un’eventuale mostra sarebbe perciò all’aperto, sul fiume.

Sì. In una struttura che era servita per distruggere la ghiaia io porterei la ghiaia. Ma questo è un sogno…perché mi sono guardato intorno e ho visto del freddo, del gelo terribile.

Ho pensato allora ad un’altra cosa: c’è un’altra struttura qui, molto antica, del ‘400. E’ a tre chilometri da qui ed è detta “Il Torrazzo”. Se qualcuno la compera si possono fare tante stanze e metterci dentro un museo con un bar, qualcosa per fare una cosa pubblica.

Le prime teste che ha scoperto sono quelle di pecora e di pesce…

La prima scoperta in assoluto è stato il brivido! La prima volta che ho interpretato la testa della pecora è stata un’emozione enorme. Ho detto “Mamma mia, ma è scultura questa!”. L’avevo trovata in un torrente e poi ho provato a vedere nell’Adige.

E ce n’erano delle altre.

Era una cosa impressionante! Subito non ho capito perché non ho capito i posti. Vedevo le pietre, la ghiaia, erano belle, magari di pietra verde, bellissime. Le raccoglievo perché mi piacevano come colore. Ma poi sono andato a beccare il posto esatto.
Guarda, quando ho cominciato io qui era una cava a cielo aperto. Ce n’erano decine, un disastro! Perché erano gli anni Settanta, si costruiva in Italia c’era il boom dell’edilizia. Casini! Frantumavano tutto. Quando io ho cominciato la cosa perché c’erano le sculture, mi guardavo attorno e dicevo “Ma questi sono folli!”. Proprio una cosa impressionante. Il massimo della speculazione. Ruspe, frantumazioni! Un casino impressionante. Addirittura facevano le strade nel ghiaione. La mattina arrivavano centinaia di camion. Per me era da piangere. Comunque quando sono stato in Adige, non vedevo soltanto la testa della pecora, ma vedevo che c’era una distesa di altre sculture. E quindi dovevo raccoglierle tutte ed era difficile per me interpretarle. Non capivo perché vedevo che erano simili e allora correvo sempre di più. E’ pazzesco, infatti se ci fosse mia moglie ti direbbe che in quel periodo era una cosa da diventare pazzi. Perché facevo il turno, poi smontavo e poi 4/5 ore a cercare…

Addirittura l’Adige mi ha trascinato. Cioè una mattina mia moglie ha chiamato i Carabinieri perché non ero tornato a casa. Avevo fatto la notte e invece di venire a casa a dormire sono stato al fiume. Nel fiume ci sono le opere idrauliche e hanno alzato la diga. Io sono rimasto in mezzo al ghiaione e poi mi sono deciso a partire. L’acqua mi arrivava quasi al collo e avevo le pietre sulle spalle che mi tenevano. Però mi trascinava! E questo è accaduto più volte…Insomma questa è la mia vita in Adige.

E’ una cosa che non si è potuta fermare questa ricerca.

Trent’anni. E’ una cosa più forte di me. Io faccio i propositi perché mia moglie non capisce. Magari riesco a star via nel periodo più caldo, anche perché le pietre si vedono bene quando c’è la nebbia, per via delle venature.

Lei ha detto che le pietre erano doni all’acqua.

Sì sì, doni all’acqua. Doni all’acqua perché venivano dall’acqua. E poi erano sempre legati agli animali e al sacrificio…guarda caso l’agnello diventa simbolo di religione perché è l’animale più mite. Anche il pesce. Gli animali più miti diventano miti. Guarda che gioco di parole! Gli animali più miti diventano un mito. E la poesia è anche questo qua.
Le pietre erano qualcosa di sacro, di fatto l’accarezzavano. Di fatti l’abrasione è quasi un consumo, un intervento quasi accarezzato.

I tempi per fare le teste saranno stati lunghissimi.

Loro si mettevano lì con sabbia e pazienza. Però secondo me c’era molto già nella pietra. Quando la trovavano la vedevano già perché era già abbozzata dalla natura.

Accentuavano una forma preesistente?

Accentuavano come fanno sempre gli artisti. Le più belle non è che siano le più lavorate, le più belle sono le più astratte. In fondo cos’è l’arte? E’ quando arrivi a dire molto con pochissimo.

Che cosa ha letto sugli uomini preistorici e sulla loro arte?

Questa mia ricerca è fuori dalla letteratura sulla preistoria. Ho letto “Gli uomini della preistoria”, un libricino che ho trovato in biblioteca a S.Giovanni Lupatoto, dove abitavo prima. Mi ha appassionato perché affrontava l’argomento in modo non lessicale, non scolastico, lo vedeva come lo vedo io, come una favola del tempo passato, con bonarietà.
Mi ricordo un consiglio che ho seguito, quello di stare attenti quando si scava per non rischiare di distruggere degli strati che poi non sono più ricomponibili. Io do ragione. Non ho mai scavato in vita mia. Che senso ha? Puoi incappare in un fondo di capanna e poi cosa ti tieni? La punta di una freccia?

Io, per istinto, mi rapportavo sempre all’acqua. Animali e uomini hanno bisogno dell’acqua e io la cercavo istintivamente in ogni luogo. Infatti l’acqua mi ha guidato molto bene. Sono convinto.

Quello che vorrei che fosse capito, il messaggio, è quello che so, che ho accettato in pieno, che mi sono caricato sulle spalle. Ed è pesante, pesantissimo, una realtà enorme.
Buttare via la sub cultura è l’errore che hanno fatto le altre culture. La cultura vera è un abbraccio e un sorriso. Per me la cultura vera è un abbraccio e un sorriso verso le altre culture…

ELISABETTA PESCUCCI (a cura di), 1998

Luigi Lineri - affascinante viaggio tra le pietre del fiume Adige tra storia e mito - www.luigilineri.it - 2006